martedì 14 settembre 2010

The American, la recensione

Anton Corbjin, regista di questo bel film, è un famoso fotografo, autore tra l'altro di numerosi e suggestivi (per me "suggestivi" è l'aggettivo giusto) video dei Depeche Mode e U2 e di numerosi ritratti di pop stars apparsi sulle copertine di magazine internazionali. Con una profonda fascinazione per il mondo della musica e del suo imprescindibile star system, nel 2007 realizza "Control", bellissimo film biografico in B&W con protagonista Ian Curtis, leader dei Joy Division, morto suicida  all'età di 23 anni.

Con un background simile, stupisce quindi la decisione di Corbjin di dirigere un film di genere come questo "The American", con una stella del cinema come George Clooney; sembra un progetto distante anni luce dalla sua poetica musical-cool ed invece ecco che l'autore che è in lui ci stupisce nuovamente realizzando un film malinconico e senza speranza, appassionante nonostante il ritmo lento e concentrato.

L'incipit disorienta immediatamente: in una bella e luminosa mattina invernale, Clooney/Jack e la sua amata compagna escono per una passeggiata nella innevata campagna svedese: qualche sguardo, un sorriso, poche parole, mano nella mano; ecco però che un cecchino appostato prende la mira e prova ad uccidere i due, ma sbaglia mira e quello per lui sarà un errore fatale. Jack infatti prende, nascosta nella tasca del cappotto, una pistola e, con stupore misto a spavento della sua compagna, fredda senza pietà il killer. Chiede alla donna interdetta quindi di correre ad avvisare la polizia ma quando lei si volta, lui con occhi di ghiaccio e senza esitazione spara anche a lei.
Il nucleo della psicologia del protagonista è quindi presto rivelato: Jack è un serial killer tenebroso e solitario, continuamente e pericolosamente in bilico tra la sua "disciplina" di assassino su commissione e la voglia (riscatto?) di abbandonare tutto alla ricerca di sentimenti "umani".

Inseguito da killers pronti a tutto pur di eliminarlo e dietro consiglio del suo datore di lavoro/procuratore, fugge dalla neve della Svezia rifugiandosi in un piccolo borgo sulle colline abruzzesi, Castelvecchio. Tra le strette e diroccate strade del paese, Jack si finge un improbabile fotografo, fa conoscenza con il parroco, figura dolente e saggia, e con il meccanico, figlio illegittimo del religioso; ma sopratutto incontra e s'innamora di una prostituta, pronto per lei a lasciare il suo spietato lavoro per un futuro da uomo libero e "normale". Ma il passato incombe, ed ecco giungere un nuovo incarico, l'ultimo: fabbricare un micidiale fucile di precisione per una misteriosa e sensuale collega...

Questa in sintesi la trama, che si dipana lentamente spiando momento per momento i gesti e gli sguardi dei protagonisti, trovando purtroppo come unico momento debole del film la storia d'amore tra Jack e la prostituta; troppo frivola e immatura lei per essere il vero trigger di un cambiamento così radicale nella vita del protagonista.

Tecnicamente il film è perfetto: recitazione intensa ed equilibrata, musiche poco invadenti, fotografia con le tipiche luci basate sui colori primari (come abbiamo ammirato più volte nei videoclips del regista), ambientazioni suggestive e di rara bellezza.




Il mio voto: 3/5

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